Lettura del giorno - Un Oscuro Scrutare 1.1
- lollodan
- 13 mag
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 23 mag
Disturbi nel mainframe

Uno degli aspetti centrali della poetica di Philip Dick è il rapporto dell’individuo con la realtà. Secondo me questo tema ha radici filosofiche molto profonde, perché non è inteso nella maniera in cui una persona nella vita di tutti i giorni si interroga.
Nella vita di tutti i giorni il nostro problema principale riguardo la realtà è la contrattazione della nostra realtà sociale: ci viene chiesto di assegnare gli attributi “vero” o “falso” riguardo le relazioni con gli altri esseri umani. La menzogna del nostro simile è il più grave attacco alla sicurezza della nostra immagine del mondo. Ci attanagliano domande comuni, quali: per lui/lei avremo chiarito per bene la nostra relazione?, le promesse che mi vengono fatte su questo lavoro saranno attendibili?, l’articolo che sto comprando sarà davvero il migliore per rapporto qualità-prezzo, come mi sta dicendo il commesso?
La grandezza di un libro come Un Oscuro Scrutare sta nel fatto che ci mostra una versione dei fatti della vita inedita. Come umani impostati e ordinati dalla cultura occidentale diamo per scontato i fondamenti filosofici della nostra realtà — per la tradizione di scientismo e teleologia cristiana che corre nella nostra storia: ma come sarebbe se la realtà che credevamo solida e verace si rivelasse una totale illusione? Come sarebbe se qualcuno (o qualcosa) minasse le fondamenta della nostra coerente e stabile immagine del mondo?
È il caso lampante di Jerry Fabin, il primo personaggio che ci viene presentato nel romanzo — Philip da il la alla sua opera proprio con un caso di sconvolgimento del proprio mondo interiore. Il romanzo si apre letteralmente con queste parole:
Una volta un tizio passò tutto il giorno a frugarsi in testa cercando pidocchi. Il dottore gli aveva detto che non ne aveva. Dopo una doccia di otto ore in piedi sotto l’acqua bollente a sopportare le stesse pene dei pidocchi, usci e si asciugò, con gli insetti ancora nei capelli; anzi, li aveva su tutto il corpo. Un mese più tardi gli erano arrivati fin dentro i polmoni.
Philip K. Dick, Un Oscuro Scrutare, Milano, Mondadori, 2023, p. 7
Con un fortissimo fattore shock ci viene messo davanti agli occhi un uomo assolutamente a-normale, inteso nel suo senso letterale: Jerry Fabin è fuori da qualsiasi nozione di normalità come esperienza e azione condivisa da una comunità di soggetti. Se doveva esistere un terreno comune su cui ogni umano costruiva la propria verità, ecco che per Jerry Fabin esso viene a mancare. L’apparato di conoscenza socialmente sviluppato dalla nostra cultura e storia (biologia, causa ed effetto, fiducia nelle istituzioni [il medico a cui non può credere]; anche la più semplice ratio del mondo [perché dei pidocchi dovrebbero entrarti nei polmoni che sono animali che stanno sulla cute?]) — viene messo in totale subbuglio. È lo stravolgimento della realtà.
Il caso di Jerry Fabin non è l’unico, ovviamente. Tutto il romanzo è permeato da questa atmosfera di imminente crollo della certezza nella realtà. Sempre nelle prime pagine, l’amico di Jerry Fabin, Charles Freck viene coinvolto nella storia del suo compagno: da scettico sull’esistenza di questi pidocchi, piano piano per compassione inizia ad aiutare Jerry nella sua ricerca dei piccoli invasori. Va a finire che Charles, a contatto continuo con l’amico, inizia a credere anche lui all’esistenza di questi insetti e insieme si convincono di averne catturati in un barattolo. Il giorno dopo i pidocchi dal barattolo sigillato sono scomparsi…
La storia continua con Jerry che viene internato in un centro di salute mentale. Il mondo esterno, la realtà condivisa, viene a bussare alla porta del singolo e cerca di re-integrarlo: Jerry è un malato di mente, questa è la spiegazione; la sua esperienza come singolo è in-validata, non è accettabile per la comunità degli esseri umani: i pidocchi non c’erano e non ci son mai stati. Era tutto un sintomo della sindrome paranoica di Jerry.
Charles, che è poi il protagonista del romanzo, non viene però internato: il suo credere all’esistenza dei pidocchi era solo contingente alla vicinanza con l’amico; ed essendo entrambi tossicodipendenti è probabile che abbia solo vissuto uno stato di paranoia, non che la sua intera visione del mondo si sia “rotta” come lo è per Jerry. Ma questi stati persistono…
Col dipanarsi del romanzo, Charles continua a soffrire di questi disturbi nel mainframe: la sua realtà è unificata e (apparentemente) solida, ma continuano ad esserci delle discrepanze inspiegabili che si manifestano anche solo nella vita di tutti i giorni. Qualcuno ha manomesso apposta il suo “televisore” (non è esattamente un televisore, è fantascientifico…) ma nessuno dei suoi conoscenti aveva alcun motivo per farlo; qualcuno ha manomesso l’acceleratore della sua auto rischiando di ucciderlo insieme ai suoi coinquilini, ma che loro sappiano nessuno li vuole morti… C’è questo passaggio, subito dopo aver scampato la morte dalla macchina, in cui le incoerenze della realtà non diventano più solo pratiche (qualcuno ha manomesso i miei oggetti), ma sensoriali — sensoriali come per Jerry Fabin era la sensazione fisica di avere i pidocchi addosso:
[…] le auto che correvano veloci, quei due uomini, la sua stessa auto col cofano alzato, la puzza di smog, la vivida calda luce del mezzogiorno… ognuna di queste cose appariva rancida, come se tutto il suo mondo, in ogni sua parte, si fosse putrefatto. […] Gli dava la nausea, così chiuse gli occhi e rabbrividì. “Cos’è che stai fiutando?” gli chiese Luckmann. […] “Merda di cane” rispose [Charles]. Poteva sentirla venir su dal motore, tutt’intorno. Si piegò, annusò; la avvertì distintamente e sempre più forte. Che roba assurda, pensò.
Philip K. Dick, Un Oscuro Scrutare, Milano, Mondadori, 2023, p. 114-115
Quello che colpisce è la necessità di prendere sul serio la situazione. Non possiamo come lettori in buonafede sminuire queste sensazioni che il personaggio vive come reali. Non possiamo prendere le parti della società e dire che semplicemente Charles Freck è un’altro tossico qualsiasi, bruciato dalla sua dipendenza. L’autore, con questo stile vivido e grottesco, con queste similitudini ampie ("come se tutto il suo mondo, in ogni sua parte, si fosse putrefatto”); con le ripetizioni, con i climax emotivi, con l’accumulazione per asindeto — ci obbliga a dare validità all’esperienza del singolo. Al di là di ogni spiegazione razionale o ragionevole del perché la sua esperienza sia così fuori dalla “normalità”.
Philip Dick ci obbliga a prendere sul serio questi disturbi nel mainframe, queste sbavature nella realtà di tutti i giorni. E prova a chiederci se non ci sia qualcos’altro sotto a questo disagio, qualcosa che magari come individui e società a largo abbiamo cercato di evitare. Qualcosa che abbiamo nascosto sotto il tappeto per mantenere l’immagine ordinata e pulita del mondo che abbiamo creato.
Le risposte su cosa significhino queste instabilità della realtà — su cosa si nasconda sotto questa crisi del mondo precostituito — sono ampie e complesse: ragioni sociali, culturali, filosofiche, psicologiche… La poetica dell’autore è così profonda che in un solo post non si può sviscerare il suo tema centrale come romanziere. Il mio progetto di analisi è lungo e si svilupperà in più occasioni —questo è solo un assaggio per mettere in gioco gli elementi fondamentali: alcuni soggetti sono avulsi alla costruzione comune del mondo, ne sono esclusi. E non possiamo ignorarli: non possiamo sminuire il loro disagio, perché la magistrale retorica ed estro di Dick ci impedisce di separarci da loro; di non provare per loro almeno una minima forma di empatia, sincera.
Altri post su Un Oscuro Scrutare e Philip Dick arriveranno; insieme ad altri progetti che ho in cantiere! Stay tuned!
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