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Pensieri morali sulla storia militare

  • Immagine del redattore: lollodan
    lollodan
  • 2 giu
  • Tempo di lettura: 6 min

Essere appassionato di storia militare a volte mi provoca a volte sentimenti difficili. Orientarsi in che cosa siano bene e male quando si ha a che fare con la storia delle guerre umane è un problema che vivo intensamente. Mi approccio alla materia coi libri: cerco sempre di leggere autori che siano riconosciuti dalla comunità scientifica, ma che abbiano un’affinità ideologica con me. Insieme ai libri unisco l’attività del gioco: sono anni che mi dedico alla simulazione ludica — cioè al ricreare una battaglia storicamente accaduta con un’insieme di regole e materiali di gioco (una sorta del gioco degli scacchi che cerchi di riprodurre fedelmente la guerra umana).


Bruce Levine, La guerra civile americana. Una nuova storia, Einaudi
Bruce Levine, La guerra civile americana. Una nuova storia, Einaudi

Negli ultimi anni ho studiato molto la natura e le cause della Guerra Civile Americana: il conflitto del diciannovesimo secolo tra l’Unione degli Stati Uniti del nord e il sud secessionista, la Confederazione. Questa è una guerra di una complessità e ricchezza storica come nessuna. Davanti agli occhi abbiamo il Nord che tentava di mantenere unita la democrazia americana, e il Sud che desiderava indipendenza politica ed economica. È stata una guerra di ideali (potremmo dire anche modi di vita e istituzioni): due società distinte vivevano nello stesso corpo politico, gli Stati Uniti, e a causa della loro diversità incolmabile finirono per venire alle armi. Quando dico che studiare queste cose porta con sé pensieri difficili mi riferisco a un esempio come questo: pensare che gran parte del mondo del sud fosse assuefatto alle sue istituzioni provoca sofferenza. Questi uomini sono scesi in campo a morire per difendere una società aristocratica, dove pochissimi avevano tantissimo; basata sullo sfruttamento del lavoro schiavile. Anche la persona comune si mobilitò per questo: nel libro La guerra civile americana. Una nuova storia, di Bruce Levine, vediamo come grandi strati della popolazione civile di bianchi nullatenenti o della piccola società agraria si arruolarono volontariamente per difendere la schiavitù e il “modo di vivere” del sud. Un modo di vivere basato sulla consapevolezza della superiorità razziale, dove i neri erano visti come bestie mansuete e adatte al lavoro nei campi (la differenza con l’animale per loro era minima…), mentre i bianchi (non importa di che strato sociale) facevano parte di una civiltà superiore destinata al dominio. Tanti uomini poveri ed emarginati rimanevano nella classe degli oppressori lavorando come vigilantes dei neri e nelle ronde per le campagne: in questo modo le differenze di classe tra i bianchi si restringevano, unendoli tutti sotto il comune senso di superiorità verso l'uomo nero. Alcune testimonianze dirette nel libro mostrano pastori di chiesa e politici inneggiare al volere di Dio di tenere i neri in schiavitù, mentre l’uomo bianco predestinato a soggiogarli e dirigerli.


Il gioco da tavolo Longstreet Attacks, Revolution Games
Il gioco da tavolo Longstreet Attacks, Revolution Games

Visualizzare questi uomini che hanno dato la vita per una causa ripugnante è difficile, per una persona di sentimenti liberali. Ma credo che dobbiamo farlo per ricordarci di cosa è capace la mente umana e gli uomini come società: gli orrori che possono produrre. Il gioco da tavolo è un altro potente strumento per connettersi con questa verità: i giochi di simulazione di guerra come quelli della Revolution Games (che sto facendo sul mio tavolo in questi giorni) riproducono con accurata serietà storica come poteva svolgersi una battaglia della Guerra Civile Americana. Ci mettono a contatto con la realtà della guerra in un modo visivo e drammatico — nel bel mezzo dell’azione. Ci riportano alla realtà materiale della morte in guerra. Le pedine blu che vediamo nella foto sopra erano gli Unionisti — i nordisti: in questa situazione stanno difendendo una cresta di collina nel secondo giorno della Battaglia di Gettysburg. Quando prendo in mano invece una pedina grigia e la muovo verso le difese blu per attaccarle, sfondarle e uccidere o catturare gli uomini che mi si parano davanti — sto giocando il sud, i Confederati. Centinaia di metri di campi spazzati dal fuoco dei fucili e dei cannoni, per arrivare sulla cima e conquistarla, uccidendo il nemico: nel fango, nel sangue, tra altri umani caduti o fatti a pezzi dalle palle di cannone. E quando la pedina che abbiamo in mano scompare, torna nella scatola, gli uomini che essa rappresentava sono morti, feriti o fuggiti nel terrore. Riusciamo a chiederci il perché tutto questo accadde? Perché soffrire questa ordalia per una causa che ci sembra ingiusta? Riusciamo a rispondere?


Per me è il punto importante: non possiamo sottrarci da una spiegazione dei fatti, anche per le cose che ci sembrano orribili e che vorremmo evitare con tutta la nostra forza. Secondo me gran parte della nostra coscienza morale e politica di cittadini si forma solo se abbiamo il coraggio di interrogarci sulle cose, anche se non ci piacciono. L’alternativa, sfortunatamente, è vivere rifuggendo le cose orribili che fa l’uomo, alimentando così il nostro senso di spaesamento e depressione ogni volta che accade qualcosa che non abbiamo avuto la forza di spiegare a noi stessi: una nuova guerra, una nuova legge ingiusta, un nuovo movimento politico di ideali repressivi. Penso che dobbiamo rimanere attivi e vigili, sopratutto in un momento in cui le nostre democrazie liberali stanno subendo attacchi da ogni forma di nuovo (e vecchio) potere anti-liberale.


Per tornare all’esempio di questo articolo, la Guerra Civile Americana, io mi sento chiamato a spiegare come posso: sono italiano e quindi lontano da quella cultura; e sono appassionato di storia, ma non sono un esperto o uno studioso. È naturale che qualcosa mi manchi nell’analisi di tutta la situazione. Ma devo darmi il diritto di un’opinione, devo provare a pensarci con gli strumenti che ho. Per quello che posso aver sentito col cuore e capito con la mente, l’uomo comune del sud confederato combatté perché pensava di difendere la propria patria. In fondo offrì la vita per una comunità a cui pensava di appartenere: una comunità razzista, oppressiva e bastata sullo sfruttamento di una minoranza — ma sempre una comunità e un’identità sociale. In questo senso possiamo anche guardare oltre: forse l’essere umano per sentirsi parte di qualcosa è disposto a prendere parte alle imprese più spregevoli. Avere una comunità stabile, al sicuro, “civilizzata”, dove vieni trattato da pari — è così importante che siamo anche disposti a perpetrare le peggiori tirannie: siamo disposti a dissociarci dal dolore dei nostri simili, anche se di diverso colore della pelle — siamo disposti a vederli come bestie, siamo disposti a togliere loro ogni libertà. Un’altra considerazione che mi viene da fare è: alla fine le guerre nascono perché abbastanza persone pensano la cosa sbagliata. E non possiamo farci nulla: esisteranno sempre uomini che sono nostri nemici sul campo delle idee e dei sentimenti; e dalle idee alla lotta il passo è terribilmente corto: molto più corto di quello che vorremmo immaginare. Questo è ciò che brevemente e tentativamente potrei dire io come spiegazione: il mio abbozzo di risposta a una cosa che mi pare totalmente insensata — come dare la vita per ideali che sento spregevoli e ingiusti.


Vorrei concludere con una citazione. Dopo tanta personale sofferenza a riflettere su questi temi, vorrei ricordarmi e ricordarci cosa invece significa lottare per una giusta causa. Dare la vita per il bene. Sempre nel libro La guerra civile americana. Una nuova storia, ci viene presentata una testimonianza diretta di una madre schiava che parla a suo marito e poi col suo bambino durante l’attacco dei nordisti alle Sea Island, luogo di piantagioni fertilissime. Il loro padrone fugge dalla sua terra sull'isola in barca, e vorrebbe portarsi dietro la famiglia di schiavi per continuare a sfruttarli. Ma espropriato dal proprio potere su di loro, visto che i nordisti sono ad un passo, la famiglia ha la possibilità di rifiutarsi e decidere per il proprio destino. Questo è il brano:


Un importante coltivatore, John Chaplin, ordinò a Moses Mitchell, uno schiavo che lavorava come carpentiere, di salire sulla grande chiatta della famiglia Chaplin e aiutarli a remare. Nel sentire questo la moglie di Moses, Tyra, disse al marito: “Non sognarti nemmeno di remare fino a Charleston [per loro], esci da quella porta e vattene”. E lui lo fece. Mentre Chaplin e la sua famiglia si dirigevano a Charleston sulla loro imbarcazione, Moses, Tyra e il figlioletto Sam li guardarono partire. Sam pensava che il ruggito dei grossi cannoni fosse il tuono. “Figlio — gli disse la madre — questo non è il tuono, sono gli yankee che vengono a darti la libertà”.
Bruce Levine, La guerra civile americana. Una nuova storia, Torino, Einaudi, 2023, p. 119

"Figlio, questo non è il tuono: sono gli yankee che vengono a darti la libertà": questa è una frase che rimarrà con me per sempre.


 
 
 

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