Pagine da Cold Point - conclusioni personali
- lollodan
- 9 ago
- Tempo di lettura: 6 min

Così siamo arrivati alla fine...: dopo un saliscendi tremendo fatto di fiducia spezzata; e rivelazioni orribili. Pagine da Cold Point ci ha portato nella vita quotidiana di una famiglia fatta di padre e figlio che poi si è mostrata per la sua vera natura orrorifica e di abuso. Ma cosa possiamo farcene di questo racconto? A che cosa serve una disamina artistica così fredda e lucida delle parti più maligne della condizione umana — sempre che "serva" a qualcosa? Quali sono i tasti interiori che ha toccato? Io credo che per un racconto così “scandaloso” e disturbante le risposte siano personali e diverse per ogni tipo di lettore: io racconterò solamente cosa ho provato e pensato come individuo, non mi permetto di parlare per tutti.
In primis una cosa che mi viene da notare subito è come Paul Bowles sia uno scrittore “morale”. Per questo motivo ho parlato di "servire", riguardo a quest'opera: uno scrittore morale ha connaturata alla sua arte una sorta di funzione educatrice e pubblica. Non si astiene dal prendere una posizione, è a soppesare la bilancia di Bene e Male e dirci cosa c'è di sbagliato. La bellezza dell'arte di Paul Bowles però è che egli non parla direttamente in prima persona del giusto e dello sbagliato dalla sua posizione di autore: ma lascia che sia solo la storia a parlare per lui. Infatti una lezione esplicita non ci viene fornita dal racconto; non c’è un momento di ripensamento finale interno alla storia da parte dei personaggi che rifletta la lezione pedagogica dell'autore morale: i personaggi sono "malvagi" e intrappolati nella loro esistenza incosciente — non è nella loro natura evolversi o imparare qualcosa di nuovo. Il peso dell’insegnamento e del ripensamento sta tutto in noi. Da come è costruita la storia e dallo stile sappiamo che Paul Bowles voleva denunciare il Male: l'abuso sessuale, la fiducia spezzata di un padre che si rivela mostro. Ma da nessuna parte viene scritto. Non c'è bisogno dell'intervento posticcio di una voce che esprima la lezione: tramite la lettura siamo chiamati come spettatori a maturare quello che si chiama "sentimento morale", perché la storia non ci è indifferente. Che noi proviamo disgusto, terrore, rabbia — questa roba che ci è stata raccontata ci repelle. Dalla repulsione nasce l'idea che il mondo raccontato sia sbagliato — e da quella messa in discussione del mondo esistente nascono le possibili alternative per mondi migliori. Questa è la natura di uno scrittore morale.
Un’altra caratteristica che pongo nei meriti tecnici, sta (come menzionai nello scorso articolo) nel dispositivo retorico complessivo del testo — il racconto come unità narrativa. Mettendo il scena gli avvenimenti con un narratore e punto di vista interni, siamo fondamentalmente alla mercé di uno solo dei personaggi della storia: che racconta la sua intimità e la sua visione delle cose. In questo modo veniamo ingannati dal primo momento: persi in tutte le filippiche e argomentazioni nichiliste sulla modernità; in tutti gli sproloqui di amore genitoriale, che ci propina la voce del padre. Siamo obbligati ad entrare nella mente e nel mondo interiore di un pedofilo perpetratore di abuso sessuale intrafamiliare (termine neutro), ma non lo sappiamo: concordiamo, annuiamo, la sua retorica ci avvolge. Storciamo il naso su alcune cose ma lasciamo correre: perché sfortunatamente ci fidiamo. Ad un livello di analisi psicologica e sociologica possiamo dire che Paul Bowles ha creato il genitore abusivo e il pedofilo perfetto — nelle menti con questi tipi di devianza certi ragionamenti interni sono la norma: non vedere cosa si fa di male (chissà se mentendo a sé stessi o meno...), scambiare per normalità l'abuso che si compie, pensare di fare il bene della vittima… Tutte idiosincrasie e circoli viziosi del pensiero da manuale. In questo modo il colpo di scena finale diventa il fulcro di tutta l’esperienza di lettura: il capovolgimento dalla realtà dell'amore filiale alla realtà del crimine porta lo sbigottimento e allo shock della fiducia tradita.
Oltre questi punti di forza artistici, tecnici — io penso che questo racconto sia perfetto per illustrare la poetica dell’autore: i suoi grandi temi sono tutti presenti. Ciò che ho notato leggendo buona parte della raccolta La Delicata Preda è che l’autore sembra voler comunicare una grande sfiducia personale verso l’Umano: in questo caso specifico il temi principali sono, come ho provato a mostrare, l’inganno e la condizione dell'abuso. C'è anche il tema del colonialismo, centrale in altre storie ma qui marginale. In modo sintetico mi viene da dire che i personaggi di Bowles sono assolutamente persi nel caos della condizione umana: da esterni vediamo il consumarsi di tragedie morali, storie dove viene fatto il Male e scambiato per in Bene. Ma questi personaggi sembrano assolutamente incoscienti del Male che compiono. Sembrano marionette prive di auto-critica che si muovono solo per i loro desideri e istinti più feroci e animaleschi. In un certo senso non ci viene nemmeno detto come potremmo salvarci da questa condizione: non è la cultura perché il personaggio del padre è un ex-professore; non è la ricchezza; non è la sessualità; non è l'attrazione romantica... Dall'insieme di racconti de La Delicata Preda sembra che nessuna pre-condizione materiale o spirituale possa assolvere dal Male. Forse è questo il punto: non si è mai salvi dalla possibilità di essere umani orribili. Ciò che poi mette in crisi il lettore è la mancanza di una risoluzione interna alla storia: non c'è un Giudice che punisca i peccati del padre; non c'è un riconoscimento del male fatto. Bowles lascia le cose come stanno — lascia essere i suoi personaggi malvagi e incoscienti fino alla fine; e la storia che ha scritto non ci dona il sollievo della sconfitta del Male.
La non-risposta di Bowles alla domanda "come si evita il Male per fare il Bene?" ha due valenze — e in realtà il fatto che non ci risponda potenzia la forza della sua poetica. La prima valenza è che non ci risponde perché è la domanda più difficile sulla faccia della terra e lui stesso non conosce la risposta. La mia impressione è che la posizione filosofica dell'autore sia di resa: ha messo in scena decine e decine di tipi di umanità nel suo libro, e ognuno di essi fallisce nell'impresa di migliorare la propria e altrui condizione umana. E qundi che risposta ci può essere? Forse è un segreto che non si può scoprire ma che ti capita e basta, una sorta di Grazia agnostica. O forse c'è qualcosa oltre queste storie, qualcosa che non è stato raccontato che possa salvare. Entra in gioco la seconda valenza: la risposa è aperta. Non tutto è stato visto, non tutte le possibili storie sono state raccontate: forse lo stesso lettore è chiamato in causa ad allontanarsi dall'orrore visto qui. Forse l'unica cosa che si può davvero fare, l'unico ethos che si può seguire, è riconoscere il Male sperando che ognuno di noi trovi un ammonimento e le capacità per allontanarsi da esso in modo personale. In questo modo l'autore è sia colui che non ha risposte, ma allo stesso tempo colui che può porre le domande — attraverso il libro stesso che abbiamo appena letto: queste storie sono la gran parte della condizione umana, Bowles ci dice, quindi come ne usciamo da qui?
Vorrei concludere questo articolo con una considerazione di carattere personale, per cercare di dare un’interpretazione all’uomo Bowles, come autore. I miei sentimenti riguardo a Bowles come artista sono incredibilmente positivi. Il suo tratto caratteristico di mettere in scena la tragedia umana non mi sembra un’impresa di tipo nichilista, disfattista. Anche se egli ci porta negli anfratti più segreti e peggiori dell’animo, io sento che il sentimento dell’autore è di rivolta e denuncia. Si lega all'analisi generale della sua poetica, questa considerazione: come dicevo noi lettori sviluppiamo un sentimento morale, ascoltando le sue storie. La denuncia non è in prima persona, ma è la storia stessa a denunciare i suoi personaggi, gli esseri umani. L'emancipazione dal Male è la domanda aperta al lettore, come ho cercato di argomentare. Il punto finale dell'arte di Bowles quindi mi sembra quindi quel luogo aperto dell'anima che cerca delle soluzioni al dilemma del Male in terra: un'anima che viene, tramite l'arte, aperta alla possibilità, aperta all'ascolto, aperta a domandare e rispondere sulla propria condizione esistenziale. In questo senso Bowles non può essere uno scrittore nichilista: chiunque cerchi di sollevare domande e richiedere risposte dai suoi lettori è una persona che non si arrende allo stato miserabile delle cose — che vuole combattere per un mondo migliore. In questo senso io lo ammiro molto: per la sua capacità di essere onesto nel guardare in faccia la condizione umana, ma non arrendersi di fronte alla fragilità di essa, e al caos doloroso a cui essa è quasi sempre costretta.
Pagine da Cold Point per me sarà un racconto da ricordare per sempre, nella sua semplice, breve, onesta, lucida domanda di cercare di fare il Bene in un mondo che sembra soverchiato dal Male compiuto dall'uomo.



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